Descrizione
«L’opera che ci viene restituita è un’opera aurorale di Zambrano, che si affaccia alla vita. E anche se ci appare, per taluni aspetti, ingenua, fors’anche naive, essa di fatto anticipa temi cruciali di Zambrano matura. Per Zambrano è sempre importante mettersi a nudo senza remore. E in questo testo, appartenente alla fase giovanile, lo fa con particolare trasparenza. Il rilievo di questo epistolario è la confessione di un trauma. La perdita di un figlio appena nato. María Zambrano e Hannah Arendt, le due grandi filosofe della nascita, che hanno imposto tale tematica alla riflessione filosofica nel Novecento, lo fecero pur senza essere madri. Ora sappiamo che, per María Zambrano, non fu così. E la sua maternità fu un’esperienza davvero drammatica. E, in tal modo, si spiegano molte cose. Soprattutto la lettura dialettica, che Zambrano propone tra disperazione e speranza in rapporto alla nascita. In tal modo certe pagine trovano una nuova luce e una nuova possibilità di comprensione. Sappiamo (e ora grazie a questo testo ne intuiamo meglio le ragioni) che – per Zambrano – la nascita, la “prima nascita”, che apre alla vita e alle successive nuove nascite o rinascite, rappresenta un evento segnato da una cifra di drammaticità. Essa è infatti crudele nudità, abbandono del calore placentare, esposizione totale e radicale». Dalla Prefazione di Silvano Zucal.